lunedì 31 ottobre 2011

Ilo: crisi del lavoro minaccia la stabilità sociale Allarme recessione, l'Italia tra i paesi a rischio

La ripresa del lavoro sta andando peggio del previsto, ci si è concentrati troppo sulla salvaguardia del settore finanziario e senza riformare i meccanismi che hanno portato alla situazione attuale

di VITTORIO LONGHI


A pochi giorni dal G20 di Cannes, esce il nuovo rapporto dell'Ilo World of Work che quest'anno ha per titolo "I mercati al servizio dell'occupazione", proprio a sottolineare che la vera urgenza da affrontare oggi è la creazione di nuovi e buoni posti, prima che la salvaguardia del settore finanziario. I toni dell'agenzia Onu, di solito pacati e diplomatici, oggi sono allarmanti: "Dovranno essere creati 80 milioni di posti di lavoro nei prossimi due anni, di cui 27 milioni nelle economie avanzate, se si vuole tornare ai tassi di occupazione pre-crisi". La crescita è lenta, però, e il timore è che si riuscirà a creare solo la metà del lavoro necessario. Il numero dei disoccupati ha superato i 200 milioni nel mondo e, visti i ritmi attuali, ci vorranno almeno cinque anni per ritornare ai livelli del 2007, un anno in più di quanto previsto nel rapporto dell'anno scorso.

Uno dei motivi di questa situazione, spiegano i ricercatori, è che si investe poco nella produzione - dunque nel lavoro - e molto, troppo nel capitale. Gli investimenti produttivi sono ancora stagnanti, mentre continuano ad aumentare i profitti e i dividendi. In effetti, nelle economie avanzate, mentre le quote di capitale sono salite dell'1,1 per cento le quote di investimenti nella produzione sono scese di 0,4 punti percentuali. Non è una sorpresa che i maggiori utili oggi vengono dalle speculazioni finanziarie. Nei Paesi più ricchi questo settore ha generato il 13 per cento di profitti in più tra il 2000 e il 2007, mentre i profitti degli altri settori economici sono cresciuti solo del 6 per cento. Tra gli altri fattori di questo spostamento di risorse dal lavoro verso il capitale, ci sono anche alcune scelte politiche che hanno portato a un progressivo declino della densità sindacale e della capacità di contrattazione collettiva, uno degli strumenti tradizionalmente più efficaci per sostenere i salari. 

"Non è stata data sufficiente attenzione all'occupazione come fattore di ripresa", spiega Raymond Torres, direttore dell'Istituto Internazionale di Studi Sociali dell'ILO, che ha curato il rapporto. Torres conferma che ci si è concentrati sempre di più sui mercati finanziari, che il dibattito è stato focalizzato sull'austerità fiscale e sul modo migliore di aiutare le banche, senza tra l'altro riformare quei meccanismi che hanno portato alla crisi. Si è persa di vista l'economia reale, insomma, e questo atteggiamento è stato accompagnato spesso da misure che hanno eroso le tutele sociali e i diritti dei lavoratori, cosa che non aiuterà certo a rilanciare la crescita né l'occupazione. 

In 69 dei 118 Paesi presi in esame c'è stato un peggioramento di tenore di vita tra il 2006 e il 2010 e  questo sta accrescendo il malcontento generale. Le proteste sociali si vanno diffondendo, del 40 per cento in più tra 2009 e 2010 secondo una ricerca Gallup, soprattutto a causa degli alti tassi di disoccupazione e dei prezzi alti dei generi alimentari. Su 99 Paesi analizzati, circa la metà degli intervistati dichiara di non avere più fiducia nel proprio governo. Un fenomeno che avviene in gran parte nelle nazioni avanzate e, secondo il rapporto dell'Ilo, la situazione è particolarmente a rischio in Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna, dove l'insoddisfazione sul mercato del lavoro locale supera il 70 per cento.     

Pertanto, oggi più che mai è necessario mantenere e, in alcuni casi, rafforzare i programmi e gli investimenti nelle politiche attive del lavoro. Gli sforzi per ridurre il debito pubblico e il deficit finora si sarebbero concentrati "in maniera sproporzionata" sul mercato del lavoro, precisa l'Ilo. L'invito è a sostenere gli investimenti nell'economia reale e a superare il "falso mito" secondo cui la moderazione salariale porta alla creazione di posti. Il rilancio globale deve essere guidato dai redditi e dal lavoro, in sostanza, non dal mercato e dalla finanza.
TRATTO DA http://www.repubblica.it/economia/2011/10/31/news/rapporto_ilo-24192802/

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